Champagne Supernova

Spotify mi propone in maniera del tutto “casuale” un album che non sentivo da anni e anni. Maledetto. Nella solitudine della camminata che sto portando avanti, mi sento come se fossi tra le vie di Ferrara anni addietro.

Mi giro e guardo a lato, ho la netta sensazione di avere alcuni compagni a fianco e un piccolo gruppo di questi poco più avanti. C’è chi si trascina, chi maledice il professore e la sua stronzissima interrogazione il penultimo giorno di scuola, chi saluta gente conosciuta in tutte quelle occasioni in cui è rimasto fuori. Quest’ultimo fa finta di nulla, ma ogni tanto rimane indietro qualche passo, si isola e incurva le spalle raccogliendosi sulla sigaretta che aspira nervosamente, dentro ha una voragine che vorrebbe riempire, ma ripete parole vuote

Non me ne frega più un cazzo! 

Si ritrova così a ripeterle incessantemente, ma quel buco non si riempirà.

Pochi passi più avanti alcuni personaggi si muovono svelti tra le viuzze guardando circospetti ogni incrocio e pregando che la porta dell’ufficio dove lavora il padre, non si apra proprio in quel momento. Io cammino e guardo in silenzio la scena, non sono mai stato un chiacchierone, mi cingono il collo le cuffie collegate al walkman che penzola dalla cinta dei pantaloni, dentro c’è quell’album. L’ho copiato da un amico su cassetta, grazie alla piastra stereo che uso quando mio fratello non è a casa. “(What’s the story) Morning glory?”

E’ un periodo della mia vita che lo ascolto ovunque, durante l’ora di ginnastica, sdraiato sul muretto della piazza del paese, in corriera alla mattina per isolarmi dal freddo, dalle urla e dall’acqua che entra dalle guarnizioni rotte dei finestrini. Lo sparo a tutto volume e voglio che mi entri nel cervello. Alla ragazza che mi piace le ho scritto una lettera e dentro le ho lasciato un pezzo di canzone, forse “woderwall” forse “cast no shadow” non ricordo, sotto a ogni strofa le ho messo la traduzione. Quell’album suona e mi aiuta a disegnare un perimetro, un muro invisibile che mi ripara da tutto quello che arriverà sparato dritto in faccia. Quelle canzoni entrano in risonanza con le delusioni, le cullano e mi addormento ogni notte sognando di diventare diverso. Quell’album, cazzo, quell’album è fatto di amici, compagni di squadra, cuffie condivise seduto sulle gambe di un’amica che mi tiene sempre il posto, è fatto dello sguardo che appoggio fuori dal finestrino pensando sconsolato alla solitudine che mi attende nel pomeriggio e ai mille modi per evaderla. Quell’album è lì, mi aiuta a spostare la mente dal vuoto al sogno.

Torno a casa, i miei mi conoscono per quello che tira lo zaino a destra e sinistra incazzato nero con qualche professore, quella è la punta dell’iceberg e sotto ad ogni piega della rabbia si nasconde un urlo che cerco di soffocare. Alzo il volume, sorriso o pianto non importa, la camera nasconde tutto.  

Dalle strade del centro ci spostiamo al parco, uno suona la chitarra e ci fermiamo

Ehi me la presti? hai il capotasto mobile?! 

Fruga dentro allo zaino tra i fogli con gli accordi segnati a penna, eccolo!  

Lo fisso al terzo capotasto, “wonderwall”, non ricordo molto, improvviso, ma alla fine la versione riesce. 

Sono gli ultimi giorni di scuola, le giornate si allungano e il sole scalda, Ferrara è illuminata da una luce bellissima che rende quei giorni ancora più speciali. Si racimola gente in giro, 

oh ci si vede la in fondo dalla curva!

E’ uno dei punti nascosti del parco, c’è un albero enorme che fa ombra. Mi guardo attorno e la mia compagnia è tutta lì, ragazzi e ragazze sdraiati sull’erba, qualcuno si è tolto la maglietta e prende un po’ di sole, altri invece si appoggiano con la schiena al busto del grande albero e smandibolano ancora per via degli acidi calati la notte prima. Li passo in rassegna tutti. Ho la netta sensazione che il tempo non finirà mai, non importa se finiscono le superiori, io sono arrivato che c’erano e andrò via che continueranno ad esserci. 

Dopodomani gli esami, ci saluteremo, ma solo per poco, poi li sentirò e li rivedrò dopo l’estate, o perché no, durante la stessa. 

Guardo Fefo e guardo Luca, uno mi prende la chitarra dalle mani, ha i capelli rosa perché se li è tinti di rosso da solo quel mongolo e si stanno schiarendo, mi prende per il culo, 

sai suonare solo gli Oasis ebete, ecco perché quella poveretta tra un po’ ti manda a cagare! 

Ride perché sa che da un momento all’altro gli arriva un papagno sulla spalla.

Se va con uno come te, la faccio ricoverare, brutto essere che non sei altro! 

Luca è poco più in là, con la gazzetta in mano e intento ad attaccare due maroni con la Virtus e con i gol di Roberto Baggio al Bologna dello scorso anno. Smetto di suonare e gli tiro un po’ d’erba strappata dal prato, 

Stronzo non hai mai passato un compito a nessuno che non fosse della tua cricca di bolognesi, cesso! 

Lui scrolla via l’erba dalla gazzetta, 

oh veh è arrivato Tenco, a quella ragazza non cantarle mica in inglese che fai pena! Oh ti saluta Danilovic! 

Puntualmente non è stato così, molti non li ho mai più visti, per via del caso, del destino o semplicemente perché così va la vita.

Con il tempo ad alcune cose ci fai l’abitudine, ad altre no. 

Fefo e Luca non li ho mai più visti da quel giorno, il destino se li è portati via, a due età completamente diverse e con modalità completamente diverse, ma comunque sempre, inesorabilmente, troppo presto. Quando un compagno prende in mano il telefono e con voce tremolante ripiomba nella tua quotidianità, a questo no, mi spiace, non ci farò mai l’abitudine. 

Alcuni li ho rivisti da poco, dopo 20 anni, abbiamo fatto serata e abbiamo riso, tanto, fino alle lacrime, per un attimo abbiamo beffato il tempo e il destino, ci siamo ripresi tutto quel soffio di vita che ci ha fatto conoscere. 

Ripenso ad alcuni momenti, sto ridendo da solo e ho bisogno di un attimo, fermo la camminata, chiudo gli occhi, discosto gli auricolari intanto che il pezzo volge verso al termine e la musica libra nell’aria attorno a me. Respiro profondo. 

Champagne supernova è una canzone che mi unisce a tutti quei personaggi e mi sembra di averli ancora davanti agli occhi. Dura Sette minuti e mezzo e non sono mai riuscita a suonarla fino in fondo perché troppo lunga. E’ buffo pensare che sette minuti e mezzo è circa il tempo impiegato per arrivare al termine di questo racconto. Sette minuti e mezzo possono cambiare la vita?! Non ne ho assolutamente idea, ma so per certo che la mia vita ha cambiato quei sette minuti e mezzo. Riapro gli occhi, continuo a sorridere, riprendo a camminare e canto

How many special people change?
How many lives are living strange?
Where were you while we were getting high?

We were getting high
We were getting high
We were getting high
We were getting high
We were getting high
We were getting high
We were getting high
We were getting high
We were getting high

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