Presentazione del sito

Ho pensato a lungo alle varie modalità di iniziare un sito, tra le tante possibili, ho scelto quella meno semplice per me, vale a dire presentarmi in prima persona.
Mi chiamo Matteo Carletti e le parole che seguiranno si possono ritenere il proseguo naturale delle ultime espresse nella Pagina Contatti. Una sorta di sceneggiatura circolare, dentro alla quale non è importante da dove si inizi, ma l’importante è fidarsi di chi l’ha scritta e farsi accompagnare nel racconto. Pertanto…

Sono un sociologo e se dovessi definire con una parola la mia condizione di nascita, vita e studio, potrei tranquillamente usare la parola incertezza; i miei studi e i miei approfondimenti personali fino a oggi mi hanno consegnato una coperta di lana, un pasto caldo e un porto sicuro in cui attraccare (cit.) quando al largo della quotidianità mi ritrovavo a dover affrontare le tempeste della post-modernità.
Z. Bauman ha riassunto questa condizione nella parola “liquidità“, U. Beck “rischio“, J. Lipovetsky “felicità paradossale“, per me è ed è stata “semplice normalità” (mi piace ironizzare sulla semplicità).

Sono un figlio degli anni ’80, una generazione a cavallo di grandi sconvolgimenti, dopo quelli combattuti e urlati negli ideali degli anni ’70, prima di quelli silenziosi e latenti proposti dalla “millenial generation” detta anche “next generation” o “Y generation“. Una “generation” a cui tocca subire, purtroppo per loro, un finto neologismo rigorosamente inglese (perché fa più “international“) contenente la parola “post” messa davanti a qualcosa che l’ha anticipata, per questo oggi ci appelliamo al post-tutto quello che viene prima (post-rock, post-culturale, post-ristorante ecc.). Una sorta di ossimoro, un virtuosismo letterario, in cui si riesce a descrivere qualcosa di vecchio, o comunque che di nuovo ha poco, grazie a un finto neologismo, diciamo un post-neologismo.
Se considerassimo quindi gli anni ’80, potremmo definirci i pre-post!! E direi che rende perfettamente l’idea del casino interiore con cui conviviamo da sempre!
Mi spiego meglio.
Faccio parte di quella generazione che ha partecipato inconsapevolmente ai primi riti di consacrazione del consumo a nuovo oracolo delle reti sociali e soprattutto digitali, colui che decide se sei “dentro o fuori“, se sei “cool o sfigato“, se “riesci a mantenere il tuo status quo oppure no“.

Ogni “eighty” (sempre perché fa più “international“) diviene un “iniziato” a questo strano rito collettivo: di fronte ad una tastiera, un monitor, in completa solitudine, fin dall’infanzia subisce il racconto di chi lo ha preceduto sulle grandi potenzialità del mondo di internet e del computer, della grandi gesta delle persone che grazie un solo click hanno il mondo alle loro mani e si connettono con chiunque. Insomma fin dall’infanzia ci riservano una bella iniezione di onnipotenza. Alla faccia delle collettività, dei gruppi, delle relazioni e di tutto quel mondo, fatto anche di sane utopie, consegnato dalle generazioni precedenti. Nessuna belle epoque, nessun ideale di comunanza, ma “via!“, sparati alla velocità della luce dentro all’interconnessione globale e cosmopolita, alla ricerca di qualcosa che ci ricordi un po’ di ordine, là dove la precarietà è solamente uno dei particolari nati dalla mano di un pittore edonista, intento a disegnare l’effigie del caos.

Le circostanze di cui sopra, meglio definiti come effetti collaterali della globalizzazione, non hanno però portato al mio oblio, non hanno sancito il mio scoramento. Oggi infatti sono qui per consegnare dignità alla mia professione, a me stesso, e perché no, mantenere vivo il divertimento iniziale che mi ha portato a scegliere questo lavoro in mezzo a tanti. Ritrovare il lato umano, perché al di là delle logiche perverse del consumo ed immersi in questo caos globale, qualche traccia di bellezza la vita ce la consegna ancora. Sono attimi, folate di vento che ci portano via il cappello contenente tutte le nostre quotidianità, quando sulla battigia, ci bagniamo i piedi con lo scorrere della vita e ci soffermiamo a sorridere della sua incomprensibilità. Dettagli minuziosi che tendono a sfuggire perché non sono comuni, ognuno ha i propri, li riconosciamo soprattutto quando riusciamo a sciogliere il rebus dell’incontro con l’Altro.
Sono sempre stati lì o li abbiamo scoperti adesso?! Ce li abbiamo portati noi o qualcuno ce li ha fatti riconoscere?! Le risposte non sono uguali per tutti, sono incerte.
Attimi… un saluto nascosto, un pranzo improvvisato, un bicchiere di vino, un fuoco che arde ed un qualcuno con cui scottarsi, bambini che giocano per strada, finestre che si aprono sul divertimento di alcune persone sedute sulle panchine dei giardini, i piedi nella sabbia, gli occhi in un orizzonte d’estate, un pallone ed un amico, un caffè a letto o un discorso impegnato con qualcuno sdraiato sul tetto…
a testa in giù, arrampicato sul ramo di un albero qualsiasi, a guardare il mondo sottosopra con qualche compagno/a di avventure, sei solo all’inizio…
Attimi… quelli che neghiamo, quelli che rimuoviamo, quelli fatti di aspetti piccoli o grandi che ci riguardano, i mostri che odiamo, le violenze, le urla, le insofferenze, le intolleranze, le ingiustizie, i dolori, per scendere ancora più in basso dove le paure diventano angosce, tutto quello che ripudiamo e che ci fa schifo scopriamo esser parti di noi stessi…
Attimi … infinitesimi attimi che non possono essere inquadrati dalla logica o dalla ratio, perché sfuggono alla normalità ed entrano in quella che possiamo chiamare umanità. Si presentano quando meno ce lo aspettiamo, come una bolla di sapone emergono dal nulla, alcuni scompaiono velocemente, altri sembrano scomparire ma poi si ripresentano, alcuni si incastrano e non ti mollano. E’ proprio lì che risiede il mio lavoro, nel campo umano. In quella sintesi dove psicologia, filosofia ed antropologia si incontrano. Dalle stesse discipline da cui rubo costantemente studi, approfondimenti e prospettive. Dove norme, culture, sistemi, accolgono e spesso rifiutano il collasso della ragione, là dove istinti, paure e desideri si muovono, là dove la logica e la ratio non possono catalogare nulla perché sarà l’incertezza a dominare, le domande a incrinare il suo dominio. Là, nello stesso posto in cui sono finiti i nostri attimi.

Scrivo questo perché il mio lavoro si occupa di umano e io sono parte di quello di cui mi occupo, sono la mia professione e tutte quelle che sogno, sono l’analisi a cui mi appoggio e sono chi mi guida nella stessa, sono il cinema e le emozioni che grazie ad esso ho condiviso, sono la musica e tutte le sue sfumature, sono i libri che ho letto e soprattutto quelli che leggerò, sono la mia famiglia e la differenziazione dalla stessa, sono qualche amico che mi porto dentro e le risate fatte insieme, sono le persone che ho amato e quelle da cui sono fuggito per colpa delle mie piccolezze, sono il dolore che mi ha modellato e le volte in cui negandolo gli ho consegnato le chiavi della mia vita.
Al di là di tutto ciò, sono principalmente quello che non ho, sono quello che scoprirò.

Tutto nasce da qui:
ho pensato all’incertezza e al dolore, quanto queste condizioni oggi si neghino o si rimuovano; ho pensato da dove vengo, dove sono arrivato fino adesso e ho pensato ad aprirmi a uno scenario sconosciuto; ho pensato alle mie esperienze professionali; al confronto con professionisti affermati o anche semplicissime persone meno affermate, ma con la grande capacità di essere se stesse; ho pensato ai piedistalli creati dalle auto-consacrazioni di coloro che rifacendosi a logiche tecnico-razionali pensavano di essere “conoscitori di tutto”, alle loro cadute quando tecno e ratio non bastavano più, quando hanno realizzato di essere semplicemente “piccole parti del tutto”; ho pensato al cinema e all’amore che per esso nutro; ho pensato alla letteratura e alle scoperte che mi ha consegnato proprio quando meno me l’aspettavo e quando meno le cercavo; ho pensato nuovamente all’incertezza, alla sua capacità di diventare risposta concreta, qualora divenisse in noi il punto di partenza per porsi domande ancor prima di volere a tutti i costi delle risposte.

Ad un primo colpo d’occhio sembrerebbe tutto slegato, ma non lo è, non sono i deliri di un sognatore che non accetta la realtà, sono realtà ed esperienze distinte da “punti-e-virgole-;”. Periodi e continuazioni. Sottolineare l’importanza di certi momenti ed esperienze, ma dare loro un senso di continuità ed evoluzione. Nella scrittura quando si vuole improntare il testo in questo modo, si usano sempre i “punti-e-virgole-;”. Non mi ritrovo con la filosofia in cui nella vita c’è sempre bisogno di andare a capo, di cambiare vita, di rimuovere, ripartire, riprendersi non so cosa ecc. Per me c’è più bisogno di “punti-e-virgola“, riconsegnano meglio l’idea che per fortuna la vita prosegue. Trovo sia più complesso imparare a dare importanza ai periodi, agli attimi, andare a capo sì, ma accettando il prima, perché è ancora lì, fa sempre parte di noi e se accettato aiuta a concentrarsi sulle parole che descriveranno il nostro poi.
La vita è un lungo elenco di parti che ci riguardano, non c’è bisogno di rimuoverle, si tratta di accettarle, mettere “punti-e-virgola” e continuare, perché solo così si continuerà scrivendo qualcosa di diverso.

Sono qui per scrivere, lavorare e condividere, con una prospettiva aperta ed incline a far conoscere la personale applicazione della mia professione. Ci metterò me stesso, perché diciamoci la verità, la sociologia, come ogni materia o disciplina, è una gran noia se la si percepisce impersonale e/o didattica. Nel mio piccolo quindi cercherò di consegnare qualcosa, per renderla così meno didattica, ma più conoscitiva perché arricchita di parti che mi caratterizzano, arricchita di “punti-e-virgole“.

Se sei arrivato/a fino qui vuole dire che ti sei fidato/a, allora non mi rimane che ringraziarti, darti il benvenuto e augurarti una buona continuazione.

“La filosofia va studiata non per amore delle risposte precise alle domande che essa pone, perché nessuna risposta precisa si può, di regola conoscere, ma piuttosto per amore delle domande stesse; perché esse ampliano la nostra concezione di ciò che è possibile, arricchiscono la nostra immaginazione e intaccano l’arroganza dogmatica che preclude la mente alla speculazione”

Bertrand Russel
siamo
punti e virgola

Lascia un commento