Si ringrazia in particolare Nicola Franceschini – giornalista di Telestense – per lo spazio dedicatici
Intervento dal titolo:
“Il consumo delle responsabilità, per una società che rovescia il senso umano dell’Altro“
"Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali" Pier Paolo Pasolini
Per poter parlare della relazione tra genitori e figli, ritengo sia indispensabile considerare il contesto sociale in cui ci stiamo muovendo, perché quest’ultimo influisce e si fa influire dalla relazione genitore – figlio. Se dovessi descrivere oggi lo stato d’animo, il mood come lo si potrebbe chiamare con termini più comprensibili anche per le nuove generazioni, meglio non potrebbe essere rappresentato che dalle parole di Pier Paolo Pasolini «Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali». Riempire riempire riempire, scaffali, vuoti o identità, la tendenza sembra essere quella. Vuoti per pieni, vuoti a rendere, vuoti trasparenti, vuoti da colmare. Vuoti. Poi distrazioni, parole poco chiare, interpretazioni iper-moderne, iper-esibizioni di concetti semplici con cui qualcuno si è costruito il personaggio per poter sentirsi Qualcuno. Anche quei concetti all’apparenza semplici, se messi contro luce trovano riflessi caleidoscopici rappresentanti la loro profonda complessità. Il nostro tempo è anche questo, risposte semplici a problemi complessi, ricerchiamo sempre risposte, se rassicuranti e facilmente comprensibili ancora meglio. Voglio essere sicuro del mio modo di comportarmi, so dove è il giusto e so dove è lo sbaglio. Ad una invasione corrisponde un muro, ad un utero un bambino, ad un malvivente un carcere, ad un corpo una palestra o un chirurgo, ad un terrorista un islamico, ad un governo un ladro, ad una sofferenza un farmaco. Siamo tutti alla ricerca delle istruzioni per l’uso per qualsiasi cosa, per le relazioni con i figli, per comprare una macchina, per dare o meno l’elemosina al semaforo, per ridurre la fame nel mondo, per non far del male agli animali, per usare l’on demand, per registrare una fiction. Ci hanno fintamente sottoposto le istruzioni per tutto ed in questo ci hanno sempre più abituato a delle associazioni rapide, istantanee di significati e significanti. Immediate. Sia come senso di rapidità e velocità , sia nel senso che c’è sempre più il tentativo di non avere la mediazione della nostra riflessione. Ci riempiono di immagini, storie, canzoni, per distrarre i nostri significanti portandoli ad avere tutti significati uguali. Senza nemmeno che ce ne accorgiamo ci ritroviamo all’interno di retoriche post-moderne, per esempio: la felicità è andare in ferie noi due, mano nella mano in posti esotici sperduti; La felicità con i miei figli la misuro in base alle cose che faccio assieme a loro; L’intimità è la sessualità; La bellezza è 90-60-90; I vuoti vanno riempiti; I difetti dell’altro vanno sostituiti; La fragilità è insicurezza; L’umanità è rappresentata in una carezza. Seguendo questo ragionamento la mancanza viene intesa come qualcuno che non c’è. Si depaupera a concetto di pura assenza fisica, per questo si tende a ripetere la sostituzione tra persone come quella tra oggetti tipica della sindrome da scaffale. La mancanza però è molto più di tutto questo e non è un concetto limitante come quello appena descritto. La mancanza è uno stato umano della persona che non si può togliere o colmare, non lo so si trova mediante una sostituzione di una assenza, ma anzi è una continua ricerca dell’Altro. La mancanza è ciò che mi fa riconoscere la differenza. La mancanza non si può anestetizzare attraverso la presenza, ma è l’essenza dello stare in relazione con l’Altro. La mancanza è l’Altro, nella sua fragilità, nella sua differenza da me, perché lui/lei è Altro da me.Siamo in una società sotto l’egida dello specchio e del possesso. Oggi ci rendono partecipi del fatto che tutti possono avere tutto a rate, on demand quando vogliono, spegnendo il contatto quando sono stanco di parlarci. La tendenza è quella di isolare ed emarginare tutto ciò che ritengo rotto, avariato e sfigato, ciò che non corrisponde ai canoni abituali, ciò che non è secondo i miei canoni. L’importante è emarginare tutto quello che mi farebbe ricordare una mia difficoltà, emargino perché tutte le volte che guardo certe persone il mio specchio si incrina e tende a rompersi. Tutto ciò che è differenza come si può intuire finisce risucchiato nel vortice del disagio, tutto etichettato per bene in modo da poter riconoscere un difettoso” da lontano. Come si diceva in precedenza il significato di disagio assume significanti suggeriti da un mondo consumistico iper moderno, vale a dire rottamato. Ecco allora che la differenza non la insegno, la critico, la allontano, la ghettizzo. Tra le critiche che muovo ci sono anche alle nuove generazioni: non hanno più valori, parlano solo con i cellulari, non si divertono come ci si divertiva anni fa ecc ecc. Senza sapere che tutto questo crea solo delle profezie che si auto-realizzano, vale a dire idee prive di valori, ma cariche di disprezzo che fomentano persone indifferenti che vengono descritte da stereotipi suggeriti dai nostri fantasmi che cerchiamo quotidianamente di allontanare e che loro faranno di tutto per confermarli. Li allontaniamo e basta e non ci responsabilizziamo sulle nostre difficoltà. La responsabilità non viene più intesa come consapevolezza delle conseguenza della propria condotta, come un senso Umano che nasce uscendo dall’anonimato dei nostri copioni ed entrando nella presa di coscienza del cambiamento e del diventare soggetti. Non è più un senso di accettazione di una nostra fragilità che porta in questo a riconoscerla e responsabilizzarci anche insegnando ad accettare quella degli altri, consegnando ai nostri figli anche il nostro di lato umano. L’unica responsabilità che si tende a replicare è quella con un’accezione di colpa. Ci si sente in colpa sul poco tempo da dedicare ai figli, al partner, agli amici, alle proprie passioni, vivendo in questo una continua rincorsa di un tempo che non si ha, senza però trovare il tempo per mettersi in discussione parlando delle proprie scelte, delle proprie difficoltà, dei propri sacrifici, utilizzando un linguaggio fatto di sentimenti e non di frustrazione, rabbia, senso di colpa per non riuscire a essere quello che vorrei essere, vale a dire un ottimo padre, un amante dalle grandi performance, un grande amico, un figlio di cui esser fiero, tutto sempre all’insegna degli standard che la società ci impone per essere considerati “bravi”. Purché ogni testimone-vicino-di-casa ricordando il pluriomicida afferma: “era un bravo ragazzo”. L’intimità oggi dovrebbe essere soggetta ad avere un’attenzione ancora più grande, perché diviene il tassello mancante tra i ritmi frenetici e il poco tempo a disposizione da una parte, la ricerca continua di una conoscenza dell’Altro dalla parte opposta. La comunicazione intima, carica di valore umano, diviene oggi panacea della difficoltà di avere e giustificarsi un tempo per stare con l’Altro. L’intimità non dovrebbe essere semplificata a sessualità, ma dovrebbe essere una ricerca di momenti in cui posso avere la possibilità di espressione di un mio essere che va al di là del pregiudizio, della reazione dell’altro, senza la paura di essere allontanato, escluso, rottamato solo perché ho avuto la maturità di un’espressione di qualcosa che sicuramente ci metterà di fronte ad una diversità. Solo in questo modo riuscirò ad andare oltre le dipendenze affettive, ossia quelle dipendenze fatte di possessività e di sensi di colpa. Oggi si predica in ogni dove la libertà, ma di questa libertà non sappiamo cosa farcene perché più che libertà si tendono a creare pericolose rivendicazioni di stati personali che si arriva a non accettare più, ecco quindi che nascono gelosie, uxoricidi, violenza sulle donne in generale, violenza sui minori, aggressione a immigrati, violenze sui disabili, violenze cioè su tutte quelle parti della società che rimandano una debolezza, quella che non voglio vedere, non solo rimandano anche una idea che oggi fa sempre parte della nostra società cioè elimino quello che potrebbe essere meglio. Se ciò che non conosco fosse meglio di me? L’attuale post-modernità tende a consumare le responsabilità portandole ad essere colpe, consuma le mancanze portandole ad essere assenze, consuma l’intimità a sessualità, consuma la relazione in possesso. Tutte parole a cui si è reso significati universalizzati a cui vengono agganciati significanti che non hanno più differenze tra loro, proprio come le persone di cui sono verbo. Nelle relazioni con i figli non esistono delle istruzioni per l’uso, ma sicuramente la tendenza a vederli metafora di un nostro ambiente famigliare, di una nostra educazione, dovrebbe piano piano cambiare e iniziare a vederli non tanto come metafora, ma come metonimia. Con questa parola si intende, riconoscerli non come persone che portano con se un corredo di caratteristiche che già conosciamo e ci rappresentano, ma come persone che hanno sempre qualcosa in meno del senso che intendo io, ma sarà proprio quel senso in meno che mi porterà a ricercarli, conoscerli e scoprirli, perché sarà sempre quel senso in meno che non mi accontenterà mai di cercarli, insegnargli, aspettarli, esprimendo come io sarò capace l’eredità, quella fondamentale, legata cioè ad un linguaggio intriso di sentimento che li possa aiutare a incontrare il loro lato Umano e di conseguenza il loro Altro. Oggi ricordiamoci di non spaventarci di fronte alla risposta che potrebbero darci se qualcuno gli chiedesse dove vorrebbero essere o cosa vorrebbero fare mano nella mano dei loro genitori, ma ricordiamoci di riconoscerli come qualcuno che è diverso da noi ed in quanto tali possano essere visti come persone e non solo rappresentazione in scala della nostra vita famigliare. Abbandoniamo il possesso, per riprendere l’Umano. Abbandoniamo l’indifferenza per consegnare in eredità a loro la differenza, perché solo così potranno provare l’esperienza della mancanza, quella che li porterà all’esperienza di desiderare l’Altro.
Matteo Carletti – Sociologo
“L’amore cerca la mancanza dell’Altro, l’odio la respinge. L’odio è invidia della vita: sputare il male, sputare la vita, sputare l’imperfezione dell’essere. Non dovremmo stupire i nostri figli con le nostre bugie, ma amarli per come si sanno raccontare.”
Dott. Petrolo Antonino – psicanalista
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sulle argomentazioni espresse nell’articolo